Roma, 1945. L’Italia che rinasce dopo il ventennio commemora Giovanni Amendola, direttore del Mondo, bastonato a morte dal regime nel 1926. Il ricordo è affidato a uno dei suoi “ultimi redattori”, Mario Ferrara, altra voce del giornalismo messa a tacere che continuò il suo lavoro per la libertà, difendendo gli antifascisti al Tribunale speciale.Ferrara ricorda la stanza molto piccola in cui, dopo l’urlo dell’ultimo strillone, Giovanni Amendola parlava dei suoi studi e dei suoi sogni. Di quel suo ultimo impegno per la “moralizzazione della vita italiana”. “Che cosa è in fondo un giornale?” chiede Ferrara “Molti di voi non lo sanno, molti più giovani di voi lo apprenderanno forse un giorno; ancora è troppo presto per sapere che cosa fosse quella passione e insieme che cosa fosse quella forza, che cosa potesse essere di bene e di male. Un giorno, se in quelle pagine che escono, in quelle poche parole spesso irte di errori di tipografia, se in quei fogli alita uno spirito di verità, una volontà di credere e di sperare, essi si difenderanno e saranno un alimento e una speranza per tutti. Se viceversa essi conterranno la subdola menzogna, essi saranno un atroce veleno, quel veleno che ancor prima dell’avvento del fascismo e in venti anni di dittatura fascista ha avvelenato la coscienza degli italiani”.Non ho mai trovato una definizione più nobile e insieme spietata di cosa sia un giornale. Oggi, dobbiamo dire di cosa sia un giornale o una televisione o un qualunque mezzo che informa i cittadini. I mezzi sono evoluti, il principio è quello. Il compito di un giornale è comunicare verità. Se invece diffonde subdole menzogne, non sarà un giornale, ma un veleno.Noi di Libertà e Giustizia andiamo in piazza sabato con il sindacato dei giornalisti per opporci al più pericoloso dei veleni: il controllo e l’intimidazione della libera informazione, Il progetto di limitare sempre di più l’autonomia dei giornalisti. Un veleno che mai, dalla fine della guerra ad oggi, era stato profuso in maniera tanto spietata e abilmente programmata.Andiamo in piazza a Roma e in molte città prima di tutto per essere con Repubblica e l’Unità, con l’Avvenire e Famiglia Cristiana, con la Rai che si ribella agli slittamenti e alle minacce, con quella stampa locale libera che quotidianamente rivendica "lo spirito di verità". Noi andiamo in piazza perché vogliamo manifestare a chi ci guarda meravigliato da oltre i confini che non siamo pecore, ma giornalisti e cittadini. Per rispondere a chi ci dice che “ciò che vediamo in Italia è l’emergere di una cultura dell'informazione tipica dei regimi autoritari…ed è allarmante che in una democrazia dell’Europa occidentale” una parte così consistente del Paese non sia informata (John Hooper, The Guardian). Vogliamo manifestare perché l’informazione è un bene di tutti, essenziale alla democrazia, e l'organizzazione del consenso la uccide.E manifesteremo anche per voi, amici giornalisti che ridete della nostra preoccupazione, e per voi, cittadini che non sapete e non potete ormai più riconoscere la menzogna di Stato. Manifesteremo perché vogliamo cercare di essere “una speranza per tutti”.
Sandra Bonsanti
www.libertaegiustizia.it
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