martedì 6 ottobre 2009

Libertà, democrazia, informazione: non ci può essere conflitto di interessi





Manifestazione per la libertà d'informazione: Intervento del Segretario Generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Franco Siddi
03/10/2009
Mentre siamo qui, decine di colleghi sono a Messina a testimoniare e a raccontare una grande tragedia del nostro paese. Sono impegnati a dire la verità, a rappresentare realmente i fatti ai cittadini a far conoscere il peso dei lutti, il corso degli eventi naturali, le complicità della mano dell’uomo.
Solo un giornalismo libero e indipendente può farlo. Ma come hanno detto importanti autorità istituzionali già ieri accanto alle tragiche fatalità, ci sono incurie e devastazioni del territorio che hanno reso sicuramente più tragico il bilancio dell’alluvione. Compito della stampa libera e indipendente è non solo dar conto dei fatti ma richiamare le autorità alle loro responsabilità.
Alle vittime della tragedia, alle loro famiglie dedichiamo il frutto del nostro lavoro e, adesso, la pietà del nostro silenzio.
Ringraziamenti (organizzazioni aderenti e che hanno cooperato alla promozione dell’iniziativa: in primo luogo Cgil, Acli, Arci, Ucsi, Articolo21, Libertà e giustizia, Anpi, Insegnanti precari, Tavola della pace). Ringraziamento anche a chi non c’è come la Uil ma ci ha “espresso” solidarietà e preoccupazione per la condizione dei giornalisti costretti a esercitare il proprio diritto dovere in un contesto per nulla sereno e a vivere, in molte realtà il peso di ristrutturazioni aziendali e l’incertezza del posto di lavoro.
Ringraziamento alla Uil che non ha aderito ma comunque ha espresso solidarietà e vicinanza alla Fnsi.
Alla Cisl che pure non c’è e ha manifestato perplessità ma anche condivisione di molte problematiche che incidono sul pluralismo culturale, economico, sociale e politico e ha lasciato liberi i suoi iscritti di scegliere e di essere o no su questa piazza. Diciamo a tutti che la libertà di informazione è la prima condizione della libertà e dell’autonomia di tutti.
La libertà non può essere mai messa al guinzaglio da nessuno e non è mai garantita da rapporti di scambio e favori e di dispetti tra le parti.
Parliamo alla coscienza civile del paese come forza civile responsabile. Non chiediamo a chi è qui se sia di sinistra o di destra.
Diamo inizio quindi alla nostra farsa, perché – come è noto – non c’è nessun rischio e nessun attacco alla libertà: nessun tentativo di legge bavaglio, nessun disegno di legge Alfano sulle intercettazioni telefoniche con divieto di dare notizie sulle inchieste giudiziarie, nessun disegno di legge analogo, così detto ddl Mastella c’è mai stato; nessun tentativo di omogeneizzare l’informazione radio televisiva mai è avvenuto; nessun tentativo di far tacere i giornalisti scomodi e di intimidire i giornali critici con il potere è stato mai compiuto;
Nessuna vendetta mediatica è stata compiuta, nessuna lite temeraria è stata mai avviata contro giornale giornalisti. E i giornalisti mai sono stati indicati come nemici, farabutti e delinquenti.
No, non ci siamo.
È farsa negare quanto è avvenuto, con un crescendo di avvenimenti da diverso tempo.
Con serenità, come giornalisti, diciamo che non creiamo, non scegliamo, nemici.
Nemici sono coloro che negano il diritto dei cittadini a sapere e il dovere di informare che a noi è chiesto di esercitare. Non scegliamo noi questi nemici. Nemici sono coloro che immaginano l’informazione come altra cosa e non qualcosa di veramente rilevante e importante da preservare sempre, in ogni stagione; qualcosa che alimenta la vita democratica delle persone e la loro dignità di cittadini pensanti.
I giornalisti allora hanno nemici conclamati in chi ostacola la verità.
Noi rispettiamo il potere politico. Lo rispettiamo perché è una funzione essenziale degli stati democratici contemporanei. E possiamo e dobbiamo rispettarlo fintanto che esso è espressione di una bilancia fra i poteri che è frutto di secoli di battaglie per la democrazia, di sacrifici, di singoli e di singoli e di popoli, attraverso rivoluzioni, guerre, cadute e rinascite.
Siamo usciti da una dittatura e da un conflitto mondiale grazie alla lungimiranza di una classe dirigente che, proprio perché aveva sofferto l’esilio e l’ostracismo, ha saputo guardare lontano con la scrittura di una costituzione che è sintesi fra visioni che erano sì diverse ma tutte unificate dalla condivisione di regole fondamentali.
L’articolo 21 è una di queste regole fondamentali; esso è il frutto di tanta storia, tante battaglie, tanta consapevolezza.
Non si tratta di un tabù o di un feticcio. Senza libera circolazione delle idee e delle opinioni, la società dell’informazione, che è la condizione nella quale oggi ci troviamo, una società che vede nell’informazione uno dei suoi fattori di crescita, questa nostra società deperisce e muore.
E allora eccoci qua, “farabutti” e protagonisti di una farsa. Ci troviamo oggi – e non per la prima volta – a confliggere con poteri costituiti: poteri di governo; iniziative parlamentari limitative; potenti interessi economici e finanziari.
I giornalisti sono donne e uomini che possono essere asservibili a ciascuno di questi interessi, oppure possono rifiutare la farsa di chi sostiene che in Italia non sta accadendo nulla e, di conseguenza, decidere con serietà e onestà intellettuale di appellarsi all’opinione pubblica dicendo con chiarezza che ad essere in crisi è la vostra la nostra libertà di cittadini; una libertà che è tale se e quando è nutrita quotidianamente da un informazione libera e completa.
Può piacere quanto scriviamo?
Se dispiace ai cittadini ce ne preoccupiamo, perché significa che non stiamo facendo bene il nostro mestiere. Se dispiace ai potenti, abbiamo la conferma che stiamo facendo bene il nostro lavoro nella funzione di controllo e di garanzia democratica che appartiene all’informazione.
Disegni di legge bavaglio, interferenze, sviluppo di operazioni mediatiche affinchè nella considerazione collettiva l’informazione libera e completa, che non tace su ciò che non può essere taciuto sia considerata un pericolo da rimuovere, sono problemi reali che interpellano la coscienza civile.
Per questo siamo in piazza, consapevoli che i giornalisti sono sempre alle prese e devono prestare attenzione alle pressioni delle fazioni, del potere e anche della piazza. Ma la piazza che oggi abbiamo chiamato è quella della coscienza civile del paese che non china la testa e non piega la schiena.
La vita non è reality show e ancor meno lo è il racconto che l’informazione è chiamata a fare con lealtà, nel rispetto dei diritti dei cittadini di conoscere e di sapere realmente le cose.
nel rispetto della dignità delle persone. Non siamo soli nella nostra preoccupazione, in Italia e fuori.
In Europa voci critiche e preoccupate, in particolare, si levano quando viene messa in discussione l’autonomia dell’informazione, di quella informazione che non rinuncia a porsi e a fare domande, a cercare risposte, a compiere analisi, a far parlare le voci plurali. E addirittura preoccupazione crescente c’è quando vengono messe in discussione autonomie di istituzioni come quella della commissione europea.
Non ci piace vedere il nostro paese sotto accusa. Ciò ci rattrista e ci addolora profondamente. Ma detto che tutto ciò ci dispiace, dobbiamo chiederci: hanno ragione? E ci poniamo la domanda, non perché tocchi ad altri esprimere giudizi, ma perché riteniamo che occorre interloquire correttamente con chi agisce e parla con cognizione di causa.
Ci preoccupa la dignità del nostro paese e non vogliamo lasciare ad altri che facciano i censori.
Come in altre professioni, è da una coscienza limpida che può derivare la difesa delle proprie ragioni professionali.
E per quanto ci riguarda lo facciamo con rispetto verso chiunque, con la consapevolezza che dobbiamo essere sempre noi stessi nell’esercizio della nostra funzione, che non ci è mai chiesto, proprio mai ci è chiesto, di inginocchiarci, di piegare la schiena, ma tenerla dritta e di fare la nostra parte per intero, senza cercare scorciatoie, senza cedere a lusinghe e tentazioni di essere altro, di fare altro, come pure – ahimè - talvolta capita, anche a più di uno.
Dalla reazione individuale, che talora sfocia in rassegnazione e abbattimento, abbiamo deciso di passare ad una manifestazione collettiva con questa manifestazione a Piazza del Popolo a Roma, perché la somma delle indignazioni di tanti e troppi colleghi, di tanti cittadini, si trasformi in una iniziativa sindacale, e in un fatto capace di incidere presso le istituzioni e presso quei comportamenti che sono all’origine di quanto stiamo denunciando.
L’Italia democratica e repubblicana del dopo guerra è un paese a più colori.
Proviamo ad immaginare per un momento cosa accadrebbe se passasse l’idea che vorrebbe, per l’informazione e per tutti i settori della vita sociale, un’Italia permanentemente grigia e silenziosa, raccolta intorno ai moderni totem dei reality show.
Si può mai immaginare allora che l’Italia, paese delle mille diversità e di grande tradizione, culturale e civile, potrà sopportare piani e disegni tesi a comprimere la libertà di stampa e di informazione.
Il Presidente del Consiglio, profondo conoscitore del potere della televisione, ha deciso – invocando un suo diritto sovrano alla privacy -, che il giornalismo di opposizione andava irreggimentato.
Ha iniziato dai “suoi giornali” decidendo la cacciata dei direttori televisivi o della carta stampata, perché o erano scomodi in quanto troppo professionali o non utili a questa accelerazione perché non abbastanza aggressivi! Con ciò anche negando il suo presunto liberalismo in quanto editore!
Ora assistiamo, ma non saremo compiacenti e inermi, ad una svolta gravissima da parte dell’Azienda del servizio pubblico. Una Rai mortificata e costretta a comprimere o negare la propria missione di pluralismo e di luogo del confronto delle idee.
Ma la vita e il racconto del paese- ripetiamo non sono il reality show. La vita è fatta di successi, di sofferenze, di sacrifici; di lavoro che non c’è e c’è chi vorrebbe neanche si dicesse; di precariato e di lavoro che poco spazio trovano sui giornali e ancora meno sui telegiornali; e la vita è fatta di cooperazione silenziosa ed efficace di tante donne e uomini che ogni giorno promuovono la convivenza civile.
Ma se il re è nudo si dice che è nudo. Vale per tutti, anche per il premier, a meno che non ci sia chi pensa che possa essere invocato un lodo Alfano anche per l’informazione, che ponga il re al riparo dalle notizie vere con il divieto di parlare dei potenti.
Questo paese di tutto ha bisogno salvo che di una leadership segnata da tentazioni dirigistiche e da manie persecutorie.
Non siamo professionisti dell’anti-berlusconismo e non siamo qui come loro espressione.
Portiamo qui una posizione seria e meditata che ha a che fare con questioni reali del paese.
Non siamo sovversivi da strapazzo
Non accettiamo però che venga cambiato il senso ordinario dei valori e dei principi della nostra convivenza che ci si abitui a considerare normale il reality e non la vita del Paese.
Narrare il contrasto, anche forte tra posizioni e sentimenti, non ha mai intaccato in passato i temi fondamentali della nostra convivenza civile anzi li ha arricchiti; e ha fatto dell’Italia un grande paese democratico.
L’informazione è investita da una pressione che vede per la prima volta protagonisti del potere politico puntare a distruggere taluni dei fondamenti della convivenza del nostro stato unitario. Chi mina le basi della nostra convivenza oggi è all’interno degli stessi poteri costituiti (e si guardi agli organi di garanzia)
Non si confonda mai la causa con l’effetto, se c’è nel governo chi mina le ragioni della convivenza costituzionale va scritto. Ma scriverlo ci fa diventare, secondo lor signori, colpevoli di una rottura che altri, invece, fanno o stanno facendo.
Altro che anti Italiani i giornalisti! L’Italia che è qui è l’Italia che crede in se stessa e che dà vitalità alla sua democrazia, di cui tutti possono andare fieri.
Ancora sui colori: l’informazione in Italia non intende marciare allo stesso passo di quanti vogliono rifarne le fondamenta. Abbiamo già avuto l’infelice esperienza di un ministero della cultura popolare e sappiamo bene che non è il numero degli organi di stampa che si pubblicano l’unico indicatore dello stato di salute della libertà, come non lo è l’indice della presenza delle veline (e neppure delle escort) nelle tv e nei giornali.
Non è tanto in discussione, attraverso nuove leggi, ciò che può essere consentito o no pubblicare. È in discussione l’autonomia professionale e del contenuto editoriale, attraverso minacce di indebolimento, attraverso manovre sul mercato pubblicitario delle risorse di cui dispone il sistema editoriale, azioni legali temerarie. Questi sono indicatori di una situazione pesante, non sopportabile, di una libertà ferita.
La grande lezione dei padri federalisti della più grande democrazia del mondo (parlo degli Stati Uniti d’America e penso a Thomas Jefferson) ci richiamano al nesso libertà – democrazia – informazione. Non ci può essere conflitto d’interessi su questi tre temi da parte di chi è chiamato a funzioni pubbliche e invece oggi ce n’è uno enorme, anomalia europea gigantesca.
Non intendiamo marciare allo stesso passo di quanti si muovono sulla strada dell’informazione messa in riga. Marciamo ad un altro passo che richiede però una coscienza professionale alta, un senso della responsabilità alta, una carica di umiltà importante per affrontare il nostro compito.
Non tutto nel giornalismo Italiano è positivo. Abbiamo pecche, siamo stati lenti e disattenti, spesso nella buona pratica della rettifica e del rispetto dei singoli.
Ma sappiamo anche quanti giornalisti si sono immolati, hanno perso la vita per assicurare ai cittadini con lealtà, correttezza e umiltà. Il diritto di sapere. Nei luoghi di guerra e nelle aree a rischio, come negli anni del terrorismo: Cutuli, Antonio Russo, Baldoni, Hrovatin, Ota, Palmisano, Di Leo, De Palo, toni, Ciriello, Alpi, Casalegno, Tobagi.
E tanti hanno pagato per raccontare l’Italia delle frontiere occupate dalla malavita: Di Mauro, Siani, Impastato, Spampinato e tanti altri. Le liste sono incomplete e tanti colleghi, da queste frontiere, lavorano in condizioni di alto rischio, come Josè Trovato che sentirete più tardi, vittima di gravi minacce di mafia, licenziato da un posto “irregolare” per aver chiesto l’intervento del sindacato.
Il Sindacato dei giornalisti, la Fnsi, che da 100 anni unisce le battaglie per la libertà a quelle dei diritti del lavoro oggi sente di poter essere meno sola nella battaglia per promuovere e tutelare questi diritti, nella battaglia per la libertà, gelosa della sua autonomia; al di là di ogni segno politico di appartenenza, in un pluralismo e in una unitarietà rispettosi di ogni espressione di partiti e schieramenti.
Continueremo a disturbare il manovratore, i manovratori, in ogni tempo, in ogni stagione, sempre quando sarà necessario, confidando che non sia più necessario tornare in piazza ma che ci sia la stagione dell’ascolto e del confronto su tutti i problemi concreti che angosciano la vita di ognuno.
La manifestazione di oggi è un mezzo, non è il fine. È un momento di impegno civile che chiede ascolto e confronto, nel rispetto di tutti e delle idee, dei colori, di tutti, perché quella di oggi è giornata di vitalità democratica. E perché – come diceva John Stuart Mill - lontani da ogni estremizzazione in una democrazia anche un solo individuo che avesse una opinione diversa dal resto della comunità ha il diritto di essere ascoltato.
E allora a noi che oggi tocca una stagione diversa difficile e complicata, ma per fortuna non la stessa delle stagioni di Giovanni Amendola, di Casalegno e di chi è caduto nei luoghi di guerra, a noi spetta di richiamare la coscienza civile per la dignità del nostro paese il sindacato dei giornalisti non esibisce medaglie, ma fa il suo mestiere con lealtà nella protesta come nella proposta, con indipendenze e autonomia, rifiutando gli insulti ma anche le tirate di giacca di chi ci vuole propagine delle controversie tra fazioni politiche.
Andremo mercoledì prossimo in Europa, segnaleremo al Parlamento europeo l’esigenza che l’articolo 11 del trattato dell’unione sia effettivo in ogni paese, chiederemo che quell’articolo che stabilisca parametri permanenti perché la libera di stampa e la libera circolazione delle idee sia sempre esente da interferenze delle pubbliche autorità e perché il pluralismo dei media sia sempre rispettato, non solo negli atti formali di legge ma anche nelle attività che concretano l’azione pubblica.
Chiediamo al Presidente del Consiglio, al Governo e al Parlamento tutto di ritirare il ddl Alfano che ricalca quello di Mastella del precedente governo, contro il quale i giornalisti andarono in piazza con uno sciopero,
Chiediamo di cancellare in particolare le norme che vogliono vietare la cronaca sulle inchieste giudiziarie soprattutto per coprire quelle che riguardano i potenti!
Non c’è giustizia senza piena e libera informazione.
Chiediamo al governo, e a quanti sostengono o hanno sostenuto in settori dell’opposizione la cosiddetta nuova legislazione sulle intercettazioni, di fare marcia indietro. Non faranno brutta figura ma saranno protagonisti di un saggio ravvedimento.
Chiediamo al Presidente del Consiglio, anche per il prestigio della sua funzione e del paese che il voto popolare gli ha delegato temporaneamente a governare, di cessare le campagne di accuse ai giornalisti, di smetterla di additarli come farabutti o delinquenti, di dare il buon esempio, di aderire pienamente ai significati dei nostri simboli e delle nostre bandiere, quella tricolore e la costituzione. Chiediamo anche di promuovere una cultura di rispetto per l’informazione; per tutta l’informazione perché nell’oggi e nel domani, anche quando dovesse sventolare una bandiere politica, al governo siano sempre chiari gli ambiti, le competenze, le funzioni, che restano sempre distinte che non potranno in democrazia, restare sempre distinte: quelle di governo e quelle di controllo e di garanzia dell’attività pubblica e dei suoi incaricati che appartengono a un giornalismo indipendente e a una magistratura indipendente.
Chiediamo all’on. Berlusconi e a tutti i politici di ogni colore che si sono lanciati in azioni legali temerarie contro i giornalisti di ritirare le cause; chiediamo loro di adeguarsi agli indirizzi degli organismi internazionali a tutela dei diritti dell’uomo. Chiediamo al Parlamento di affrontare una volta per tutte la questione delle regole dell’informazione, nel rispetto delle garanzie costituzionali, per liberare il mercato editoriale da pressioni e condizionamenti impropri e per sottrarre il servizio pubblico alle barbarie dell’invadenza politica che oggi vuole arrivare persino, a stabilire, con atti amministrativi che non le competono, se è quali programmi e se e quali notizie possono andare in onda.
Chiediamo agli editori di essere più coraggiosi, consapevoli del loro ruolo di titolari di un’impresa speciale, di cooperare con noi e con le forze delle società civile, con il Parlamento per la definizione dello statuto dell’autonomia dell’impresa editoriale e per il pieno rispetto dell’autonomia del giornalismo professionale.
Chiediamo a loro, al Governo e al Parlamento di avviare gli Stati Generali dell’editoria Italiana per l’apertura di una nuova stagione della democrazia dell’informazione, senza avere come scopo prioritario l’elargizione di qualche piccola mancia pubblica.
Chiediamo alle forze politiche che hanno aderito e ai singoli politici presenti a questa manifestazione di assumere l’impegno solenne di sostenere e difendere l’autonomia dell’informazione oggi come domani senza tentare invadenze di campo
L’informazione svolge anche una funzione politica quando può realizzare il suo compito in condizioni di libertà ma la sua funzione non appartiene alla politica e ancor meno al governo. Ogni volta che essi intervengono in maniera impropria compiono una sottrazione alla vostra e alla nostra libertà.
Ognuno deve fare il proprio mestiere: la politica deve fare la politica, l’informazione deve fare l’informazione. I ruoli sono separati e distinti.
La stampa deve essere veramente libera di esprimersi sui comportamenti e sugli atti dei politici, che a loro volta hanno il pieno diritto di rispondere e replicare. Il giudizio spetta poi ai cittadini che si esprimono periodicamente attraverso il voto.
ecco perché la libertà è e deve essere sempre una condizione e mai un impedimento.
Questa è la democrazia!
Questa è la libertà!
Questo è il paese che noi vogliamo!
Viva l’Italia

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