domenica 23 maggio 2010
Siddi: Su quella legge adesso fermatevi
di Franco Siddi
Il dado non è ancora tratto. La possibilità di cambiare rotta esiste, se si vuole. Giornalisti, editori e cittadini devono stare in campo ora più che mai, per fermare le norme che mutilano l'informazione, attraverso il divieto di cronaca giudiziaria contenuto nel Ddl intercettazioni. Il Senato ha una grande responsabilità. Può ancora fermarsi, riflettere, fare una scelta di libertà e di giustizia o, al contrario, precipitare su una linea di regressione della civiltà democratica del paese, sicuramente sanzionabile dalle istituzioni di garanzia internazionale. Per questo è incessante l'azione che i giornalisti (anche gli editori) stanno compiendo per la difesa del diritto di cronaca. Un'iniziativa costante, determinata, che già lunedì vedrà impegnati insieme anche i direttori dei giornali in un appuntamento comune.
Sul diritto di cronaca, intaccato e in molti casi interdetto, dalle norme proposte nel disegno di legge sulle intercettazioni, si sta giocando una partita molto rilevante per la qualità della conoscenza dei fatti d'interesse pubblico da parte dei cittadini. Il mezzo passo indietro, compiuto due giorni fa dal relatore del testo all'esame della Commissione Giustizia del Senato, Roberto Centaro, sulle entità delle pene da irrogare ai giornalisti che dovessero violare l'enorme bavaglio, indica che anche la maggioranza comincia a percepire le criticità di un provvedimento che non è sostenibile.
Ma il nodo vero da sciogliere non ha alcun carattere corporativo. La cronaca, l'informazione sulle inchieste giudiziarie non può essere negata ai cittadini, tanto meno con l'inasprimento dei limiti o facendola diventare, di fatto, un crimine. Il problema non risiede, dunque, nell'entità delle pene, come cercano di far credere, ma nella creazione di un nuovo reato, che inibisce la diffusione, in qualunque forma, degli atti giudiziari non più segreti. Fino a quando quest'intollerabile limite non sarà stato eliminato, non ci sarà alcun margine di trattativa. La disposizione che impedisce anche "la pubblicazione per riassunto", prima dell'udienza preliminare, degli atti non più coperti dal segreto nonché la previsione della reclusione da uno a tre anni per chiunque prenda "diretta cognizione" di atti del procedimento penale coperti dal segreto sono limiti inaccettabili in qualunque paese democratico.
Non solo. Agli editori (norma già approvata in Commissione) sarà, se il disegno diventerà legge, comminata una multa da 64.500 a 464.700 euro. Si vuole la fine dell'attività della libera stampa su ogni e qualsiasi notizia che abbia anche solo una qualche attinenza con inchieste giudiziarie, uno strangolamento per le imprese editoriali, private di una delle ragioni essenziali della loro attività imprenditoriale.
Le notizie non sono né di destra né di sinistra. Questo spiega, perché negli ultimi giorni, finalmente, da tutte le parti, provengono reazioni a un disegno oscurantista e contrario ai principi fondamentali della Costituzione della Repubblica e della Convenzione europea per i diritti dell'uomo. La stampa avrà pure talvolta compiuto abusi a danno di persone terze (e su questo si può aprire un ragionamento serio e severo) ma ha il merito di aver scoperchiato le pentole. Meriterebbe un plauso e invece la si vuole punire.
La privacy - è adesso abbastanza chiaro - non c'entra niente. Questo diritto è sacro e i giornalisti non ne rivendicano la violazione per principio. Essa ha una sua disciplina e una sua strumentazione di controllo. Se c'è bisogno d'intervenire lì, si può e si deve ragionare.
Si vuole bloccare tutto fino all'udienza preliminare, che nella Giustizia italiana, vuol dire anni e, quindi, silenzi oscuri, idonei a favorire corrotti, corruttori, mafiosi, violenti e anche a cancellare problemi vitali di malagiustizia. Talvolta possono costringere in carcere a lungo qualche innocente. E se l'udienza preliminare non si tenesse? Se il procedimento, dopo lunghe indagini venisse archiviato, chi saprebbe più nulla di fatti spesso ugualmente rilevanti?
Non siamo alla Giustizia di altri paesi dove vige il segreto per un tempo limitato, molto limitato, ma il diritto di cronaca è garantito. Qui, invece, si vuole introdurre il principio che sia un reato pubblicare le notizie. Questo è inaccettabile. E questo è il problema.
Quello della pena ai giornalisti, dalle multe al carcere, è persino, invece, un falso problema. Già adesso esistono, nel nostro Codice, limitazioni alla pubblicazione degli atti giudiziari. Ma tutti gli atti che l'indagato può conoscere non sono considerati segreti e si può darne notizia per lo meno per riassunto. Gli articoli 684 del Codice penale (pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale) e 114 del Codice di procedura sono già restrittivi, ancorché sia evidente che vale sempre il principio stabilito dalla Corte europea per i diritti dell'uomo che, nel bilanciare i vari diritti, riconosce la prevalenza a quello di cronaca, fondato sull'interesse pubblico a ricevere le informazioni.
Sicuramente, in un paese serio, nessuno ha paura della stampa libera e irriverente. Il parlamento, perciò, si fermi, riprenda la riflessione sollecitata nel luglio scorso dal capo dello stato e, con la serenità che si richiede per leggi decisive nella regolazione dei diritti dei cittadini, ricerchi un equilibrio avanzato tra vari diritti nella direzione di uno sviluppo e non di una regressione democratica. È chiaro, se cosi non sarà, che la reazione dei giornalisti, e non solo, sarà assolutamente straordinaria.
Franco Siddi è Segretario generale della Federazione nazionale della stampa italiana
22 Maggio 2010
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2 commenti:
Ai colleghi che vogliono sapere per capire. Ora sono scesi in campo i pezzi grossi per difendere Ignazio Ingrao. Eccoli lì schierati. Maurizio Blasi che si autodenuncia. Roberto Natale che parla di intimidazioni. Degli altri non vale parlare. Non vogliono accettare che c'è chi ama le dichiarazioni,necessarie, e chi tenta di dare contributi lontano dai riflettori. Si è liberi, insomma, solo se si fa quel che lor signori desiderano e dettano.
Quello de "L'Altra lista" non era un programma, come ben sa Natale (quello che davanti ad ogni cosa sgradevole fatta dalla sua parte dice sempre "non ne so nulla"). C'è perfino scritto ("I programmi? Sempre pieni di parole accattivanti e di demagogia") che era il bilancio delle cose fatte in questa consiliatura ("La concreta prova dell'impegno a favore dei colleghi").
L'indignazione per lo scritto di Ingrao non nasce dalle critiche ingiuste, ma è legata alla insinuazione che preferisco i rapporti con i partiti alla tutela dei diritti dei colleghi e dei cittadini. C'è qualcuno di voi che potrebbe tollerare tanta infamia se vi riguardasse. Il Consiglio del Lazio, del quale è parte Ingrao e non io, potrà valutare. Una volta rivolgersi ad un terzo perché giudicasse i comportamenti era un fatto di civiltà. Ingrao e i suoi lo considerano una intimidazione. E' delle serie: le regole (l'articolo 2 della nostra legge) ci sono, ma debbono rispettarle gli altri. Certo, c'è sempre la possibilità che io sbagli. E allora? Mi daranno torto e verrà sancito che si può insinuare qualunque cosa su chiunque nel nome della polemica "politico-elettorale". Ma forse mi sbaglio ancora più nettamente: vuoi vedere che quella di Ingrao era satira. Buona domenica a tutti. Enzo Iacopino
Una sola parola per il commento di Iacopino. "Degli altri non vale parlare". Grazie dell'insulto. Io credo che di tutti vale la pena parlare, confrontarsi, criticare, litigare e magari trovare una sintesi ed un punto di convergenza.Lo facciamo nei Cdr, nelle redazioni, dove, come è normale, s confrontano sempre posizioni qualche volta anche molto distanti. L'obiettivo è sempre quello: la convergenza. E nessuno si richiama ad articoli di legge e a ricorsi ai "probiviri", di qualsiasi natura. Mutuando da un notissimo film... "E' la dialettica, bellezza..."
Claudio Gerino
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