martedì 15 settembre 2009

Las mujeres italianas y la marcha por la libertad de expresión

La manifestazione per la libertà di stampa in Italia del prossimo 19 settembre sta interessando anche numerose reti europee e internazionali di giornaliste. Pubblichiamo l'intervista realizzata da Sandra Chaher, argentina, direttrice di Artemisa Noticias, alla direttrice di Women in the city Nella Condorelli, e diffusa dalla Red de Periodistas con Vision de genero alla stampa femminile indipendente e no delle Americhe. (versione orginale in castigliano, traduzione a cura della redazione di women in the city)
Sandra Chaher. Come si chiama la manifestazione per la libertà di stampa prevista a Roma il prossimo 19 settembre? (¿Cuál es el nombre de la marcha que harán el 19 de septiembre?)
Nella Condorelli. La manifestazione per la libertà di stampa che si terrà a Roma sabato 19 settembre si chiama “No all’informazione al guinzaglio”, è stata lanciata dalla Federazione Nazionale della Stampa con alcune associazioni e l’adesione dei partiti all’opposizione del governo Berlusconi, ed è stata promossa soprattutto in difesa dell'articolo 21 della Costituzione, che sancisce “il diritto dei cittadini di esprimere la propria opinione mediante scritto, parola o altro mezzo di diffusione”.
S.C. Perché una manifestazione in nome della libertà di stampa? Puoi descriverci qual è il panorama dei media oggi in Italia? (¿Por qué una marcha en nombre de la libertad de expresión? Por favor cuéntanos cuál es el panorama de los medios de la Italia actual)
N.C. Per capire bene lo stato dell’informazione italiana, e quello che ha reso necessaria la manifestazione di sabato 19, bisogna considerare due aspetti. Uno generale, che si riscontra nella condizione attuale dell’informazione mondiale, stretta tra gli interessi dei gruppi economici sempre meno disposti ad investire anche sulle risorse umane a garanzia di un’informazione libera e plurale, e quelli del sistema politico che la vorrebbe utilizzare solo come veicolatrice di consenso. Tutto questo, in un’era, quella della società della comunicazione, che rende interdipendenti i destini di tutti e di ciascuno. Poi, c’è l’ aspetto particolare, quello che rende così unico e specifico il “ caso italiano”: il suo fattore centrale è nel conflitto d’interesse del presidente del consiglio Silvio Berlusconi, che arriva alla politica da imprenditore dell’informazione, e costruisce un partito con il quale scende in campo, continuando a gestire le sue imprese di comunicazione. Anzi, edifica e consolida il suo sistema imprenditoriale, che diventerà un vero e proprio impero economico che spazia dalle televisioni alla carta stampata alla pubblicità all’editoria, proprio mentre fa politica. Grazie alla politica. Tutto questo, senza porsi il problema delle regole democratiche da rispettare, perché se è indubbio che l’utilizzo delle televisioni come piazza politica virtuale ha cambiato le regole generali del gioco, al posto del comizio per esempio c‘è l’intervento televisivo, e altrettanto indubbio che se uno dei giocatori possiede la piazza non c’è e non ci può essere confronto… La ricaduta sugli utenti è gravissima: cancellato dal modello-messaggio a senso unico, lo spazio dell’informazione plurale, quindi del confronto e della riflessione si è progressivamente rarefatto, sino ad annullare il diritto di informare e di essere informati. Alla fine, il monstrum che viene fuori è quello del telespettatore votante che non si raccapezza più nella parola cittadinanza. In una “democrazia giovane” come quella italiana la conseguenza può essere addirittura letale, per le regole democratiche. Non ci dimentichiamo che la Repubblica italiana ha poco più di sessantanni, ed è venuta fuori dal sacrificio delle donne e degli uomini della Resistenza contro la dittatura fascista che quando si impose, dopo la Marcia su Roma del 1922, cominciò come primo atto ad esercitare la censura e a perseguitare giornali e giornalisti sino a mettere fuorilegge chiunque contestava, trasformando l’informazione in propaganda. Il pericolo odierno è ancora più grave perchè il potere esercitato dispoticamente attraversi la televisione è assolutamente invasivo, non conosce confini, e può sconvolgere qualsiasi assetto democratico. Nel suo comunicato di lancio per la manifestazione di sabato 19 settembre, “L'informazione non si farà mettere il guinzaglio”, la FSNI ha invitato giornalisti e giornaliste italiane, il mondo del lavoro e la società civile a scendere in piazza proprio “per scongiurare questo pericolo”.
S.C. Qual è la situazione delle donne italiane in relazione ai media, sia per quanto riguarda l’immagine femminile nelle notizie che rispetto al ruolo delle giornaliste nella produzione di informazione? (¿Cuál es la situación de las mujeres en relación a los medios de comunicación: tanto por la forma en que aparecemos en las noticias como por la participación que tenemos en la producción de la información?)
N.C. Rispetto al primo punto, la questione dell’immagine delle donne nei media italiani, a me pare che sia evidente innanzittutto l’intreccio con lo scenario che ho appena sommariamente decritto. C’è da sottolineare, infatti, che le prime televisioni di Berlusconi, a partire dalla metà degli anni Ottanta, fecero dell’utilizzo più sguaiato del corpo femminile il proprio baricentro. In un Paese dove c’era stato un forte movimento politico delle donne, - tanto legato ai partiti storici come Democrazia Cristiana, Partito Comunista, Partito Socialista, Partiti laici quanto espressione del neofemminismo anni Settanta -, l’effetto fu devastante. Tanto più che proprio in quegli anni il movimento decideva di ritirarsi dalla piazza, e di lavorare capillarmente nel sociale. Le donne italiane avevano conquistato importanti leggi per l’autonomia e la libertà femminile, penso alla riforma del Diritto di famiglia, alla parità salariale, alla 194 sull’interruzione di gravidanza, alla legge di iniziativa popolare sulla violenza sessuale, e proiettavano un’immagine di se consapevole. Per le ventenni dei primi anni Novanta, si trattava di vivere con orgoglio, bene e allo stesso momento, “le Tre M”, essere Madri, Mogli e Manager. Una ricerca dell’’epoca, fatta dall’antropologa Gioia Di Cristofaro Longo all’università La Sapienza di Roma, mette ben in luce il sentimento delle studentesse universitarie di quel post femminismo anni Novanta… L’arrivo del modello televisivo berlusconiano del corpo femminile commerciale, tozzo di muta carne nuda, “merce” tutta circoscritta a tette e natiche sempre più scoperte e più enormi, abbinata a trasmissioni che hanno cominciato a distribuire soldi come macchinette dei casinò, ha stravolto nell’opinione pubblica la relazione tra realtà e irrealtà. Per la gente italiana, uomini e donne, cresciuta in un viluppo fatto di conformismo di matrice cattolica e memorie mediterranee ancestrali profane, non c’è stata quasi via d’uscita: la nudità femminile, sempre più mostruosa, ha catturato l’immaginario collettivo, è stata la chiave per fare passare tutto il resto. Al modello delle donne nude senza parola veniva sempre più opposto infatti un modello maschile vincente, circoscritto in sostanza nel modello dello stesso imprenditore-politico, patriarca-padrone, che tutto può. Era nato il nuovo patriarcato mediatico. Questo ha determinato la progressiva scomparsa del femminile plurale dalle televisioni italiane, visto che anche quella di servizio pubblico, la Rai, per giochi di potere, politici e commerciali, si è allineata, che i partiti maschili tutti nessuno escluso hanno sottovalutato nel migliore dei casi il problema, e le donne stesse si sono divise, impantanate nella definizione di “ modernità”. Oggi il risultato è che nell’informazione siamo completamente invisibili, che in tv esistiamo solo come vallette d qualcuno, che anche le donne in politica o nelle competizioni elettorali non trovano spazio. Delle questioni politiche che riguardano l’uguaglianza e la parità, del protagonismo femminile nella socoetà, non c’è alcuna traccia nell’informazione, il punto di vista di genere è considerato roba per sfigate, e neanche le regole esistenti o le convenzioni firmate nelle sedi internazionali vengono applicate. Quindi, anche se c’è dibattito tra le femministe sulla partecipazione a questa manifestazione, che in generale sembra non portare il segno della Differenza, io penso che assolutamente necessario esserci proprio per non ammantare di definitivo silenzio la questione donne e informazione nel mio Paese. Rispetto alla condizione delle donne giornaliste, essa non si discosta dalla situazione generale. Il tetto di cristallo in Italia non lo vedi proprio, le giornaliste sono numerosissime soprattutto ai livelli dove non si decide niente. Il loro salario è inferiore a quello dei colleghi, e la disoccupazione colpisce in maniera massiccia proprio il femminile.
S.C. Qual è la condizione delle donne italiane in generale? (¿Cuál es la situación de las mujeres italianas en general?)
N.C. Le donne italiane viviamo una condizione di grande precarietà, esprimendo contemporaneamente nel sociale una grande forza. Siamo le penultime tra i paesi europei in quanto ad occupazione, le statistiche ufficiali dicono l’attuale crisi economica ha colpito soprattutto le donne, che l’aumento di povertà riguarda soprattutto i nuclei familiari composti da una madre con figli, che la condizione delle immigrate si inasprisce sempre più, che la violenza domestica cresce, che la rappresentanza politica femminile descresce, mentre diminuiscono i diritti. Lavoriamo moltissimo; le nostre ore lavoro quotidiane superano la media europea, abbiamo a carico il lavoro in casa e quello fuori casa senza che questo costituisca un serio motivo di intervento da parte del governo Berlusconi. Che, nel migliore dei casi, parla di “incentivi alle famiglie” e cancella il soggetto donna-cittadina come destinataria di politiche specifiche. L’invisibilità mediatica fa il resto, e le donne indietreggiano sempre più. Eppure, le donne italiane siamo una forza nella società, settori come la ricerca scientifica, la piccola imprenditoria, il terzo settore, si reggono sulla forza lavoro e sul contributo femminile, è ancora su questo che si può misurare la democrazia imperfetta del mio Paese.
S.C. Nella tua mail alla rete internazionale dici che “Berlusconi vuole zittire ogni critica sulla sua condotta privata”. In che modo si articola questa censura verso le voci dell’opposizione? Sono molte, queste voci? (En el mail a la red internacional, decías que "Berlusconi quiere silenciar cualquier crítica sobre su conduca personal". ¿De qué forma está intentando callar a las voces opositoras? ¿Son muchas estas voces?)
N.C. Certamente, la questione della condotta privata di Berlusconi è una questione cruciale del “cos’è e come si interpreta” la democrazia. Berlusconi non è un uomo qualunque, è il capo del Governo italiano, a e la sua visione del mondo, delle donne, della famiglia, delle relazioni uomo – donna, ispira certamente la sua politica. In questo senso, la sua condotta riflette la sua responsabilità pubblica. Nessuno stato si può permettere comportamenti così impunemente machisti da parte di un proprio capo di governo. Non dimentichiamo che la prima denuncia sulle sue frequentazioni indecenti ed irrispettose è venuta mesi fa proprio da sua moglie, Veronica Lario. In qualunque paese democratico, l’informazione fa la sua parte, cioè informa i cittadini su ciò che sta avvenendo. Invece Berlusconi ha risposto attaccando l’autonomia della stampa, con una serie di azioni che vanno ad affiancarsi a precedenti procedimenti legislativi mirati a limitare la libertà e il lavoro dei giornalisti. Come dice la FSNI, volti a depotenziare “la funzione costituzionalmente garantita” di informare ed essere informati. Nei fatti, la necessità di scendere in piazza per ribadire la libertà del giornalismo si è manifestata dopo la decisione del presidente del Consiglio di querelare il quotidiano La Repubblica e il Gruppo Editoriale L'Espresso per aver pubblicato 10 domande relative ai recenti scandali che lo hanno coinvolto. Lui ha tirato dritto, citando per danni anche il quotidiano l'Unità, per un totale di due milioni di euro, e in particolare la direttrice Concita De Gregorio e quattro giornaliste che avevano scritto articoli sulla vicenda delle escort e lo scandalo sessuale che lo vede coinvolto. Ci sono state polemiche anche sul documentario Videocrazy, che ricostruisce la crescita delle sue televisioni Mediaset e del sistema televisivo italiano, che nessuno ha voluto mettere in onda, Rai compresa. Nello stesso periodo è esplosa la vicenda che ha portato alle dimissioni del direttore de l’Avvenire, il quotidiano della CEI, la Conferenza Episcopale Italiana, sbattuto in prima pagina dai giornale della famiglia Berlusconi come “noto omosessuale” e per giunta molesto: una vera e propria rappresaglia che aveva l’ obiettivo di impaurire tutta l’informazione e ridurre al silenzio. Come si vede, c’è di che di che manifestare, e l’opinione pubblica è consapevole, l’appello lanciato via internet dal quotidiano La Repubblica ha raccolto in poche settimane quasi quattrocentomila adesioni. Penso che in piazza saremo tantissime e tantissimi.

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